"L'arte ci educhi al bello e la bellezza sappia renderci persone migliori"
PAOLANTONIO: il cantautore catanese prodotto dai fan
Paolantonio è un cantautore di origine catanese che, da qualche anno, è stato adottato dalla scena musicale di Milano, città in cui vive attualmente. Ha aperto i concerti di Fabrizio Moro, Simone Cristicchi, Ornella Vanoni e molti altri artisti. Nel 2015 vince il Lennon Festival, nel 2018 è finalista al Premio Bindi, nel 2019 è uno dei vincitori della trentesima edizione di Musicultura, il più prestigioso premio italiano per la canzone d’autore. Con la sua musica, Paolantonio è impegnato anche nel volontariato: ha suonato per Amnesty International, Emergency, Addiopizzo; insegna italiano agli stranieri attraverso le canzoni; collabora con Officine Buone, una onlus che porta la musica dal vivo negli ospedali italiani. Da pochi giorni è uscito il suo primo album ufficiale: “Io non sono il mio tipo”, frutto di una fortunatissima campagna di crowdfunding.
Ciao Paolantonio, raccontaci se ti va dei tuoi esordi a Catania: i
primi passi, le tue prime produzioni.
Da adolescente ero attratto dalla
cultura hip hop. A Catania eravamo in 20 ad ascoltare quella musica tra la fine
degli anni ‘90 e l’inizio del millennio. Iniziai così a scrivere canzoni rap e a
produrre le mie prime basi. Fu una grande palestra di songwriting. Nel
frattempo, mi dilettavo con la chitarra da autodidatta. Verso i 20 anni
cominciai a unire le due cose e a sentirmi un “cantautorapper”. Nel mio brano
di esordio, “Piacere Salvatore”, questa influenza è parecchio evidente. Fu
grazie a festival come il Lennon e La Spada d’oro che feci le prime apparizioni
su un palco come cantautore. Felice di quelle esperienze, decisi di lavorare ad
altre canzoni in studio affidandomi a due mentori, Carlo Longo e Salvo Dub, che
mi hanno seguito per gran parte del mio percorso.
Il panorama del cantautorato in Italia è cambiato molto negli ultimi
decenni. Come definiresti il tuo modo di fare musica?
Da sempre vengo considerato un
“cantautore militante”: affronto spesso temi d’attualità, ma senza voler
moralizzare nessuno. Sono militante nella vita e le mie canzoni riflettono
questo spirito, che poi è lo spirito di tanti grandi cantautori che mi hanno
preceduto e che oggi, probabilmente, si è un po’ perso. Io mi sento
modernamente classico: musiche originali ma cantabili, testi narrativi e
immaginifici che raccontano il mondo visto attraverso i miei occhiali. Questa
non è una tendenza del cantautorato moderno, che invece è decisamente
disimpegnato; ma è comunque positivo che ci sia un ritrovato interesse per i
cantautori. Certo, oggi succede anche che ci si proclami cantautori con
eccessiva facilità: basta mettere un singolo su Youtube e Spotify, fare qualche
post su Instagram, e si è subito colleghi di De Gregori. Mentre lui, Francesco,
ha dovuto fare tre dischi prima di diventare il De Gregori che conosciamo. L’esplosione
delle autoproduzioni low cost e del self publishing non è stata del tutto un
vantaggio. Certe volte mi sembra che ci siano più cantautori che ascoltatori!
Partiamo da quel momento in cui decidesti di lasciare Catania, perché
l’hai fatto? Cosa ci hai perso e cosa ci hai guadagnato?
Avevo ricevuto l’ennesimo “no”,
l’ennesima porta in faccia, e mi faceva più male del solito. Decisi persino di
smettere di fare musica. Dopo circa 10 minuti, mi ritrovai con la chitarra in
mano a scrivere una canzone che diceva “resistere, insistere". In quel
momento capii che io avrei pure potuto lasciare la musica, ma lei non avrebbe
lasciato me. L’indomani mi licenziai dal mio lavoro, in un’agenzia
pubblicitaria catanese, e prenotai un volo di sola andata per Milano. Così come
l’aspirante astronauta è costretto ad andare a Cape Canaveral, anche
l’aspirante cantautore deve andare nel luogo in cui si fanno i lanci. A Milano
si decidono la maggior parte delle uscite discografiche in Italia. In questa
città c’è la Music Week, ci sono le etichette, le radio, gli addetti ai lavori
e una presenza ineguagliabile di musicisti e altri cantautori con cui
confrontarsi. Ci ho guadagnato una crescita artistica rapidissima, tanti
contatti utili, l’esperienza dell’arte di strada e la possibilità di vivere in
una capitale europea multiculturale, dove ogni giorno c’è qualcosa di bello da
vedere e da fare. Ci ho perso, in primis, la vicinanza alla mia famiglia, che è
ciò di cui ho più nostalgia; e poi, sorvolando sui soliti e legittimi luoghi
comuni sul mare e la cucina, confesso di sentirmi un po’ in colpa verso
Catania: è come se fossi scappato, come se l’avessi abbandonata. Ci torno
appena posso e, ogni volta, penso che mi piacerebbe portarle un po’ di quello
che ho trovato a Milano, un po’ di milanesità, ma poi mi rendo conto che la
milanesità non esiste, o almeno non ce n’è solo una. Piuttosto succede che
porto il mio essere catanese a Milano. Questa città è ricca proprio perché
accoglie e unisce tutte le identità di chi ci vive, ed è per questo che ci sto
bene.
Il crowdfunding per produrre il tuo ultimo disco ha superato
l’obiettivo in soli tre giorni. Cos’è successo? Te l’aspettavi?
No che non me l’aspettavo.
Consideravo l’obiettivo raggiungibile in trenta giorni, ma tremavo all’idea di
non riuscirci. Dopo 72 ore, invece, il disco era finanziato! Tante le persone
che hanno contribuito e io, in segno di
gratitudine, ho deciso di citare in copertina tutti i loro nomi sotto la
dicitura “prodotto da”. In fondo, proprio i miei sostenitori sono diventati i
miei produttori, il mio pubblico è diventato la mia casa discografica! Ho scelto anche di stampare
questa prima edizione a tiratura limitata, così che diventi un oggetto di
valore maggiore proprio perché è nato da questa esperienza partecipativa
irripetibile. Sono davvero grato a ciascuno di
loro. Mi hanno fatto sentire che il disco di Paolantonio non era solo un
desiderio di Paolantonio, ma di tante persone che lo aspettavano da tempo e che
hanno ritenuto mi meritassi un supporto.
Quindi è arrivato finalmente il momento di parlare di “Io non sono il
mio tipo”, il tuo nuovo album.
Aiutaci a scoprirlo…
È un album di canzoni nuove:
tutte, o quasi tutte. In questi anni ho pubblicato tanti singoli, ma ho deciso
di non includerli nell’album. Sono un cantautore diverso rispetto a quando li
ho scritti, così come sono una persona diversa. Si cresce, si migliora o si
peggiora, ma si cambia sempre. Cambi tu, cambia lo scenario, cambiano le tue priorità.
Voglio sentirmi perfettamente rappresentato da questo disco per quel che sono
oggi. Il disco risente dell’influenza dalla mia esperienza milanese, sia come
temi, sia nelle sonorità – ed è proprio a Milano che è stato prodotto – ma rimane
sempre il disco di un cantautore catanese. Credo che esista ancora oggi una
scuola cantautorale catanese e, nel mio piccolo, mi riconosco come allievo di
questa scuola.
Cosa ti senti di consigliare agli artisti che nascono nella tua terra
d’origine ma che faticano ad emergere?
Siate sinceri con voi stessi e
sporcatevi le mani. Chiedetevi cosa sareste disposti a fare per poter vivere di
musica, poi fatelo.
Intervista a cura di Davide Gianmaria Aricò 12.04.2021