"L'arte ci educhi al bello e la bellezza sappia renderci persone migliori"
Due romani per S. Agata (parte prima)
a cura di Sandro Torrisi
La Basilica Cattedrale di Catania può
considerarsi un’antologia della storia dell’arte e dell’architettura siciliana
dal XII al XXI secolo.
Tra
il 1951 e il 1959 la Chiesa Cattedrale rimase chiusa per degli interventi di
restauro in vista del XVI Congresso Eucaristico Nazionale. A completamento di
quelle operazioni di restauro il Comitato per le feste Agatine, donò alla
cattedrale una nuova opera d’arte. Fece incastonare nel finestrone ogivale
dell’abside centrale una vetrata a colori raffigurante S. Agata che assurge
alla gloria dei cieli.
La
scelta a cui affidare l’incarico cadde sull’artista romano Duilio Cambellotti
(1876 -1960), artista di arti
grafiche e arti visive.
Il
Cambellotti sopra uno sfondo di palme verdissime e gli stemmi della città e
dell’allora arcivescovo, Mons. Guido Luigi Bentivoglio, ha raffigurato la soave
figura della santa, abbigliata con una bianca tunica intervallata da quattro
strisce rosse, i calzari ai piedi, le braccia allargate ed il capo, in parte,
velato e circondato dalla tradizionale aureola. Tutta la figura è protesa verso
l’alto con un movimento ascensionale che si libra verso il cielo. Per questa
caratteristica è evidente il rimando alla raffigurazione bizantina. Difatti
nell’arte bizantina i
martiri sono presentati, in generale, ormai trasfigurati nella luce del Monte
Tabor e non nel momento drammatico della passione e morte umana, quindi,
associati alla vittoria di Cristo.
Incorniciano
l’immagine un candido giglio dal lunghissimo stelo e una palma, mentre nella
parte alta della vetrata è riprodotta la seguente scritta: Agatha expansibus
manibus orabat (Agata con le mani allargate pregava); il testo è stato tratto
dall’inno latino Stans Beata
Agatha.
L’opera
presenta due pregi: uno storico perché dopo secoli Catania raffigurava in modo
differente la sua patrona, infatti le immagini diffuse tra i fedeli erano
quelle riproducenti Agata in carcere, nell’atto di essere martirizzata, o il trecentesco mezzo busto reliquiario; ed uno artistico
poiché la vetrata, nella sua dinamicità, racconta con un linguaggio simbolico
ma asciutto la vicenda della giovane martire catanese e trasmette, in chi
l’ammira, che Ella è stata Cristallo Verecondo, chiaro ed evangelico (Cristina
di Lagopesole, Flos Sanctorum, 5 febbraio, S. Agata).
I
simboli scelti dall’artista sono quelli dell’iconografia della Chiesa dei primi
secoli con la volontà di collocare la santa nel momento storico del suo
martirio (III secolo) e l’opera in armonia con l’architettura normanna
dell’abside.
La
tunica bianca è un attributo specifico dei martiri dei primi secoli della
Chiesa, derivato dal libro dell’apocalisse: hanno lavato le loro vesti nel
sangue dell’Agnello (Apocalisse 7. 13-14);
Il
giglio, nell’iconografia
cristiana, indica il simbolo della vergine Maria, definita “giglio tra i
cardi” in quanto questo fiore col suo candore si faceva portatore perfetto
del simbolo delle virtù, come evidenziarono i Padri della Chiesa. Metodio, ad
esempio, vi vide castità e purezza (Simposio 7, 150-151), San Basilio la
fragilità della vita (PG 29, 389) e Gregorio di Nazianzo la verginità (Carm. I,
2, 2, 657), tant’è vero che esso compare a simbolo appunto della verginità
nell’iconografia tradizionale delle sante vergini e martiri. A questo proposito
il giglio simboleggiava le ragazze che vivevano nell’amore di Cristo
innalzandosi come lo stelo del giglio stesso.
La
palma per i martiri è un’immagine proveniente dall’Antico Testamento: il
giusto fiorirà come palma (Sal 91.13) e nel Primo Libro dei Re (cap. 6-7) e
anche dal Nuovo: Giovanni cap. 12 e 13 (l’ingresso di Gesù a Gerusalemme). Il
significato della Palma nella simbologia cristiana è dunque triplice: significa
giustizia, ossia santità, la regalità di Cristo e la sacralità del martirio
come “battesimo di sangue”.
09.05.2021